La politica con la P maiuscola

Il Papa nell’incontro a Roma per i 150 anni dell’Azione Cattolica ci ha invitato a fare politica con la P maiuscola. Non so bene cosa voglia dire soprattutto guardando la politica da un angolo di mondo dove non ci sono i numeri per condurre rivoluzioni, tracciare la strada dei popoli. E così ci avvolge la tentazione di pensare “non mi riguarda, io che posso fare?”. L’agire politico rischia di limitarsi a votare il sindaco, il consigliere che promette ciò che ci serve… ma sempre con un atteggiamento passivo: “tanto sono

Il Papa nel discorso all’AC per la festa dei 150 anni

tutti uguali e faranno solo i loro interessi”. Chiuso il discorso con la politica!

Forse la P maiuscola è quella della strada, quella che ci vede protagonisti tutti i giorni. Le scelte politiche che facciamo quotidianamente sono poi quelle che i nostri rappresentanti fanno a loro volta per avere il nostro consenso. Provo a fare tre esempi tra i mille che mi vengono in mente.

1) In banca chiediamo all’impiegato che i soldi rendano il più possibile, crediamo al mondo delle favole dove la gallina dalle uova d’oro concede soldi su soldi, senza fatica, senza rischio. Se l’impiegato ci risponde onestamente dicendo “più di questo non si può” scegliamo (votiamo) la banca accanto che invece ci fa sognare, ci promette rendimenti almeno più alti del vicino. Abbiamo fatto una scelta politica, non importa se ci vendono un’illusione o se per avere quei guadagni finanziamo i fabbricanti di armi, speculatori immobiliari o aziende che sfruttano e disumanizzano il mondo. O se dopo alcuni anni la banca rischia il fallimento. Allo stesso modo fa la politica dei palazzi: cerca la gallina dalle uova d’oro, specula sulle guerre, sul mondo del lavoro, sul futuro dei giovani, sull’emarginazione dei poveri, salvo poi rischiare il fallimento.

2) Cerchiamo l’uomo che conta e gli chiediamo un favore, qualcosa di personale per superare la fila, per avere una prestazione ospedaliera prima degli altri, per avere un incarico o un lavoro in cambio di qualche innocente ed ovvio “sovrapprezzo” per l’impegno messo. Pensare che questo sia l’unico modo di ottenere le cose è azione politica. Ho sentito mille volte con le mie orecchie, amici, nonni, genitori che educano i figli alla disillusione, a non credere all’onestà, che un posto di lavoro si ottiene solo affinando le armi della sopraffazione e dell’inganno, della furbizia e dell’omertà di fronte alle ingiustizie. Se insegniamo questo ai nostri figli (nel segreto delle nostre case, in piazza ci riempiamo la bocca di altre parole) come possiamo sperare che i nostri rappresentanti facciano diversamente?

3) Ci propongono di accogliere qualcuno che ha meno di noi, che fa migliaia di chilometri pagando sfruttatori, subendo soprusi, che chiede solidarietà umana perché nel suo paese è costretto a far vivere la sua famiglia con 30 € al mese, mentre su internet vede il nostro paradiso di benessere. Il primo pensiero è “l’accoglienza è pericolosa”, prima di vedere l’uomo/la donna, il padre di famiglia emigrato nasce la paura, pensiamo di aver di fronte l’approfittatore, il delinquente, il ladro del nostro benessere, salvo poi usarlo come badante magari “in nero” o come lavoratore sottopagato. Come possiamo pretendere che chi è molto più ricco e potente di noi ci guardi con uno sguardo diverso? Quando andremo noi (o i giovani che qui non trovano lavoro) a chiedere aiuto come potremo sperare di essere guardati diversamente? Ci stiamo abituando a trasformare i più deboli in pericolosi “scarti umani” (e al giro toccherà a noi…basta vedere gli stipendi dei nostri figli), se facciamo scelte politiche quotidiane di esclusione avremo politici e uomini di potere che si comporteranno nello steso modo con noi piccoli uomini di periferia, che per loro siamo degli scarti che danno fastidio come le zanzare d’estate

Non è moralismo ma è la consapevolezza che il nostro agire quotidiano condiziona la politica. Io non mi rassegno, sono convinto che siamo in un mondo di persone che desiderano una vita bella, ma questa passa per l’impegno, la fatica di costruire qualcosa tutti i giorni, la condivisione. Questo credo possa essere da subito la politica con la P maiuscola che possiamo fare…. poi se ci organizziamo e ci uniamo, facciamo crescere i numeri e la pressione di chi agisce così, ho la certezza che ai piani alti dovranno prenderne atto. Ma se da noi per primi hanno esempi negativi, avranno la scusa per perpetuare i nostri stessi comportamenti. Certo il discorso non finisce qui ed è sicuramente più complesso, ma questo è un primo e fondamentale tassello.

La mia professoressa alle superiori, pur non condividendo a pieno il mio impegno nella Chiesa, predicava che il santo principio evangelico del “ama il prossimo tuo come te stesso” è criterio unico e sufficiente per una convivenza sociale umana, positiva e dal benessere diffuso. E’ azione politica con la P maiuscola. Santa professoressa, laica e diffidente verso la religione, ma che sapeva riconoscere la sapienza “divina” che in essa è rivelata!!

Flavio Gotta – presidente Diocesano di AC

2017-Giornata del Migrante

domenica la Giornata del Migrante e del Rifugiato

MIGRANTI E RIFUGIATI: LA RESPONSABILITA’ DI CAPIRE E DI COMUNICARE

Domenica si è celebrata la Giornata del Migrante e del Rifugiato, centrata quest’anno in particolare sulla condizione dei minori. Numerose le iniziative e gli interventi in tutt’Italia. Ne hanno dato qualche riscontro i media nazionali. E’ quindi opportuno ragionarne anche nel nostro piccolo contesto, che peraltro condivide – volente e o nolente – le vicende generali.
Si tratta di un fenomeno molto complesso. Se vogliamo uscire dai facili slogan, occorre riferirsi ad alcuni punti fermi, che riguardano principalmente due aspetti:

1) Anzitutto la natura, le cause e le dimensioni del fenomeno migratorio, e in particolare dei rifugiati e richiedenti asilo: si tratta di flussi che dipendono principalmente da due fattori: chi fugge da situazioni di guerra e di persecuzione (per i quali è possibile il riconoscimento di rifugiati e l’asilo politico) e quanti fuggono da situazioni di fame e miseria alla ricerca di un lavoro e di un futuro per sé e per la propria famiglia. Sono cause che difficilmente possono essere fermate da muri e filo spinato. Le oscene immagini di questi giorni alle frontiere balcaniche, l’ecatombe di vite nel
Mediterraneo, la condizione di migliaia di bambini e ragazzi (sovente soli, perciò ancor più vulnerabili e impossibilitati a far sentire la propria voce) ne sono la drammatica conferma. Così come il fenomeno di quanti sono immigrati e si sono inseriti nella nostra società non è reversibile, a maggior ragione per quanti sono figli di immigrati di seconda generazione. Quindi: quale convivenza vogliamo costruire ?
2) Il secondo aspetto è l’atteggiamento con cui guardiamo al fenomeno: è l’elemento determinante, perché sta alla base dei giudizi che diamo sulle persone coinvolte e sulle iniziative e provvedimenti politici e amministrativi necessari a governare il fenomeno. Quindi proprio questo ‘sguardo’ è il primo e decisivo elemento, che riguarda la responsabilità di tutti e di ciascuno: se lo sguardo è corretto produce atteggiamenti costruttivi, se lo sguardo è distorto o manipolato produce errore. In proposito, è necessario anzitutto distinguere bene tra immigrazione e terrorismo, tra musulmani e terrorismo, tra migrazione e criminalità: infatti identificare questi fenomeni non corrisponde alla realtà, produce pregiudizio e sofferenza, alimenta “le guerre tra poveri”.

LE PAROLE DEL PAPA. Nel messaggio per la Giornata del migrante, Francesco richiamano il Vangelo quando si sofferma sulla “responsabilità di chi va contro la misericordia: «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare» (Mt 18,6)” … “Sono in primo luogo i minori a pagare i costi gravosi dell’emigrazione, provocata quasi sempre dalla violenza, dalla miseria e dalle condizioni ambientali, fattori ai quali si associa anche la globalizzazione nei suoi aspetti negativi. La corsa sfrenata verso guadagni rapidi e facili comporta anche lo sviluppo di aberranti piaghe come il traffico di bambini, lo sfruttamento e l’abuso di minori e, in generale, la privazione dei diritti inerenti alla fanciullezza sanciti dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia” … “Pur senza misconoscere le problematiche e, spesso, i drammi e le tragedie delle migrazioni, come pure le difficoltà connesse all’accoglienza dignitosa di queste persone, la Chiesa incoraggia a riconoscere il disegno di Dio anche in questo fenomeno, con la certezza che nessuno è straniero nella comunità cristiana, che abbraccia «ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7,9). Ognuno è prezioso, le persone sono più importanti delle cose e il valore di ogni istituzione si misura sul modo in cui tratta la vita e la dignità dell’essere umano, soprattutto in condizioni di vulnerabilità, come nel caso dei minori migranti”. Per questo papa Francesco, richiamando un analogo messaggio di Benedetto XV del 2008, indica la necessità di “puntare sulla protezione, sull’integrazione e su soluzioni durature” che riguardano sia gli interventi nei paesi d’origine sia quelli interni e locali.

PROGETTI PER LA PROTEZIONE E L’INTEGRAZIONE. Mons.Galantino, segretario della Conferenza episcopale italiana, sottolinea la responsabilità di quanti governano e degli operatori della comunicazione “senza la superficialità gridata da chi parla tanto di migranti ma forse non ha mai parlato con i migranti e senza il cinismo di chi forse non ha mai incrociato lo sguardo smarrito e implorante di una famiglia migrante fatta di uomini, donne e bambini”. Occorre invece misurarsi con progetti realistici, con provvedimenti che facilitino l’inserimento dei migranti nella nostra società. Da qui l’apprezzamento per quanti lavorano per la protezione e l’integrazione: dalle forze dell’ordine agli insegnanti, dai volontari e agli operatori della cooperative sociali che gestiscono direttamente i diversi aspetti dell’accoglienza e dell’integrazione, sovente con grande sacrificio personale.
Crediamo che quanto ci indicano il Papa e i Vescovi corrisponda a quanto suggerisce la coscienza cristiana orientata al Vangelo. Certo è un’indicazione “scomoda” che smuove le nostre certezze e sicurezze. Che ci chiede una “conversione”. Ma che ci può aiutare ad affrontare in modo positivo le nostre paure. E ci guida ad assumere le nostre responsabilità di cristiani e di cittadini. Una indicazione che interpella tutti, a partire da quanti hanno responsabilità educative e culturali, sociali e politiche. Non si tratta di “buonismo”, bensì appunto di responsabilità.

L’USO DISTORTO DELLA VICENDA MIGRANTI. E’ infatti scandaloso l’uso che della vicenda migranti/rifugiati viene fatto a livello politico, per conquistare una manciata di voti, facendo leva sulle paure e sulla rabbia (più o meno giustificate). Uso il termine ‘scandaloso’ perché chi fa leva sul pregiudizio e semina paura e ostilità ha responsabilità ben precise, a cominciare dall’uso dei social network o dei discorsi pubblici: infatti, pregiudizio e ostilità creano atteggiamenti di chiusura, alimentano a loro volta pregiudizi e ostilità contrarie, fanno salire i rischi, la violenza e l’insicurezza. E’ questo il futuro che vogliamo costruire per i nostri figli e nipoti ? Ma questo uso ‘politico’ distorto della vicenda migranti è scandaloso anche per un altro aspetto: pregiudizi e ostilità non aiutano a individuare le soluzioni opportune e possibili ai problemi (reali) che la migrazione e l’integrazione pongono, anzi allontanano dalla possibilità di attuare interventi positivi. Interventi possibili solo con la collaborazione di tanti: accoglienza e integrazione, infatti, non riguardano solo alcuni tecnici della sicurezza e specialisti della solidarietà, ma l’atteggiamento diffuso di tutta una comunità. Ed in primo luogo di quanti la amministrano.

Vittorio Rapetti

Scelta religiosa e mediazione culturale

DALLA FEDE ALLA POLITICA (e ritorno): scelta religiosa e mediazioni culturali – politiche Vittorio Rapetti

La politica torna prepotentemente a farsi spazio nei pensieri e nelle preoccupazioni, ma anche nelle attese di tanti. L’infinita vicenda personale di Berlusconi rischia però di far velo a questioni chiave che ormai non ammettono ulteriori rinvii. La questione del lavoro e della disoccupazione giovanile, prima di tutto. Quella della legalità e del contrasto alle mafie e alla mentalità di  corruzione. Quella dell’ambiente e della sua tutela sanitaria e culturale. Quella del sistema del welfare, a cominciare dai servizi sanitari e socio-assistenziali, ancor più cruciali in epoca di crisi perdurante come l’attuale.

Ma altre questioni si intrecciano a quelle sociali ed economiche e sono quelle propriamente politiche: il futuro della democrazia in Italia ed il ridefinirsi del sistema dei partiti, il sistema elettorale  (che attende una indispensabile riforma dell’attuale legge), le opportune “manutenzioni” costituzionali (che non scardinino il progetto e l’equilibrio disegnato dalla Costituzione del 1948), il rilancio dell’Europa (di fronte all’importanza decisiva della integrazione europea ma anche rispetto ai tanti punti deboli del percorso fin qui attuato).

I prossimi appuntamenti elettorali – a cominciare dalle cruciali elezioni europee del 2014 – dovranno fare i conti con questi nodi. E tutto questo ci chiede di superare la fatica e talora il fastidio – che tutti ci prende – quando ci troviamo ad occuparci di politica …. ben sapendo che farne a meno non risolve alcun problema, anzi li aggrava.

Ma anche la fede cristiana e la chiesa cattolica stanno riproponendosi con decisione all’attenzione di tutti. Le parole e le scelte di papa Francesco hanno riaperto la prospettiva di una chiesa che sa rinnovarsi secondo lo spirito del Concilio Vaticano II, di una chiesa povera che sviluppa il suo ruolo profetico, a partire dalle necessità spirituali, morali e materiali, attraverso la condivisione (o almeno la vicinanza), l’accompagnamento, il discernimento, la misericordia, ma anche attraverso un diverso modo di organizzare la sua vita interna.

Politica e fede debbono restare ambiti distinti, ma non indifferenti (è la famosa scelta religiosa compiuta dall’AC nel dopo Concilio, che resta di profonda attualità). E la strada per riprendere questo rapporto è duplice: da un lato ritrovare uno sguardo condiviso sui problemi essenziali e sul modo di intendere la vita e le esigenze umane, che possa restituire una ispirazione di fondo a quanti sono chiamati a costruire il bene comune (è in fondo l’idea del Concilio della “famiglia umana” e dell’”equa distribuzione delle risorse” in nome della “comune dignità di tutti gli esseri umani”).

Dall’altro, ritrovare l’indispensabile raccordo tra morale e politica. Le recenti parole – semplici e chiare –  di papa Francesco sulla “dea tangente” e sul “dio denaro”, su quel “pane sporco” che rischiamo di dare ai nostri figli, ci riportano proprio a questa sequenza fede-morale-politica. Una sequenza che può diventare un contributo per la stessa ripresa del nostro paese, che deve tornare a guardare alla costruzione dei “capitali morali e spirituali”, senza i quali le risorse economiche – poche o tante che siano – non producono sviluppo umano, ma solo maggiori squilibri e ingiustizie e violenze.

Quali strumenti per servire questo cammino ?  La nostra è una stagione di trasformazione profonda, e forse guardare ad altre fasi analoghe della storia può aiutarci. Nel passaggio tra ‘800 e ‘900  e nel secondo dopoguerra, i cattolici italiani non si sono limitati a enunciazioni di principio o a ribadire quanto la gerarchia annunciava attraverso il suo magistero. Essi hanno costruito delle “mediazioni” ossia delle proposte e degli strumenti per cercare di attuare nella vita personale, familiare e sociale quei valori e principi di ispirazione cristiana.

Sul versante della formazione religiosa ed ecclesiale costruirono con pazienza e volontà le proposte e le strutture dell’associazionismo laicale (l’Azione Cattolica con le sue diverse articolazioni e poi l’Agesci, ed altre associazioni legate alle congregazioni religiose e missionarie).

Sul versante sociale ed economico organizzarono le associazioni culturali e professionali, il sindacato con la Cisl, le Acli, le tante forme di cooperazione economica e sociale, per lo sport e il tempo libero (CSI, CTG e tante altre forme aggregate).

Anche sul piano politico scelsero una concreta mediazione storica attraverso l’adesione ad un partito (in prevalenza il Partito Popolare prima, la DC poi, ed alcuni in altre formazioni). Attraverso  questa fitta rete associativa, sociale e politica  i cattolici italiani hanno potuto crescere nella fede e nella testimonianza cristiana ed anche sul piano culturale ed esistenziale, dando un contributo di grande importanza all’intero paese, a cominciare dalla Costituzione fino alla vita ordinaria nei diversi territori.

Certo, la storia non si ripete in modo meccanico. Ora i tempi sono diversi, differenti le condizioni religiose e culturali. La Dc non c’è più, i sindacati e l’associazionismo sociale ed ecclesiale hanno una “presa”limitata. Ma le mediazioni ecclesiali-culturali, sociali-economiche e politiche sono indispensabili: se quelle precedenti non reggono o non sono comprese, vanno ri-elaborate. Ma in ogni caso le mediazioni sono necessarie.  Altrimenti anche le migliori affermazioni restano “senza gambe”, le più belle testimonianze entusiasmano per qualche momento e poi scivolano via, i valori e i buoni esempi non si radicano nella vita delle persone e delle comunità. Per questo occorrono alla chiesa e alla società associazionismo, cooperazione, sindacati,  partiti (nelle nuove e molteplici forme che occorre elaborare a fronte delle mutate condizioni di vita, di lavoro, di mobilità, di cultura, di salute). Solo così il tessuto civile e religioso può vivere, crescere, dare alle nuove generazioni una possibilità concreta di integrazione, di cambiamento, di critica costruttiva, ed offrire ai più deboli una rete di solidarietà efficace.

Riflessioni socio politiche – novembre 2013

Due articoli di Vittorio Rapetti per riflettere “da cristiani” sulla situazione attuale

Scelta religiosa e mediazione culturale

Famiglia e società, tra politica e avarizia

L’ITALIA, LA POLITICA E I CATTOLICI

Dopo la recente vicenda elettorale

Non è semplice dare un giudizio di quanto sta accadendo in questi ultimi mesi in Italia ed anche nella nostra diocesi riguardo alla politica. Ma è pure necessario provarci.

RIASSUNTO BREVE. Nel novembre 2011 il governo guidato da Berlusconi giunge al capolinea, dopo quasi un anno di lenta agonia e di progressivo deterioramento interno e internazionale. Sono a rischio non solo i nostri conti economici ed i rapporti internazionali, la nostra credibilità in Europa, la nostra stessa permanenza nell’euro. Siamo considerati quasi un paese “contagioso” per l’intera “eurozona”, nel mezzo di una crisi economica che qualcuno vorrebbe negare, ma i cui segni sull’occupazione e sulle imprese sono più che evidenti: paiono non esserci più margini ed il presidente Napolitano assume una iniziativa drastica, “dimissionando” Berlusconi ma evitando di andare ad elezioni immediate e chiamando alla guida dell’esecutivo il sen. Monti. Il Partito Democratico accetta questa soluzione (le elezioni subito lo avrebbero senz’altro premiato vista la crisi del PdL, segnato da non pochi scandali e dai processi del suo leader. Si costituisce così un governo “anomalo” sostenuto dai due partiti, fino a quel momento contrapposti. Le misure del governo Monti tentano di incidere su alcuni aspetti strutturali della crisi italiana, ma – se ci mettono un po’ in sicurezza rispetto allo scenario europeo, evitando il dissesto sul piano finanziario –  hanno effetti pesanti sui bilanci delle famiglie.  Nel corso del 2012 non si avvertono segnali di ripresa, in particolare sull’occupazione, mentre il livello di tassazione cresce specie per l’introduzione dell’IMU. Nel novembre 2012 il PdL toglie la fiducia al governo Monti creando le premesse per una pericolosa congestione istituzionale: elezioni regionali in Lazio, Lombardia, Molise, elezioni politiche e “semestre bianco” in relazione alla elezione del presidente della Repubblica.

LE ELEZIONI DEL NUOVO PARLAMENTO

La crescita del Movimento 5 Stelle è impetuosa e raccoglie non solo la voglia di protesta e la rabbia verso i partiti tradizionali, ma anche il desiderio di un modo nuovo e diverso di fare politica. Una proposta “alternativa” nei metodi più che nei contenuti politici, che attrae italiani di tutte le età e aree del paese, sfilando soprattutto elettori alla coalizione del centro-sinistra (PD-SEL-CD). Dall’altra parte le promesse di Berlusconi (specie quella di abolire l’IMU) riaggregano il centro-destra. I risultati sono clamorosi. Il centro-sinistra vince con un piccolo scarto sul centra destra (restando entrambi sotto il 30%), mentre il M5S supera il 25% dei consensi. E’ il più forte sconvolgimento elettorale dal dopoguerra a oggi. Il centro-destra rispetto al 2008 perde oltre 7 milioni di voti (oltre il 46% del suo elettorato), mentre il centro sinistra ne perde circa 3,6 milioni (- 28%), la Lega Nord perde il 54% dei consensi (in Piemonte la perdita sale al 64%). Un terremoto che non è compensato dal risultato della nuova lista moderata “Scelta Civica”, che non va oltre il 10%.  L’incertezza dei risultati diventa un vero e proprio “stallo” quando nel nuovo Parlamento il M5S rifiuta la proposta di governare insieme al centro-sinistra. La difficoltà si aggrava quando neppure per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica il centro-sinistra riesce ad eleggere un proprio esponente e la maggioranza del PD rifiuta di convergere sul candidato proposto dal M5S. Il PD si spacca, la disponibilità di Napolitano ad nuovo mandato evita il caos istituzionale, la crisi politica resta profonda e si intreccia ai preoccupanti segni di crisi sociale.

PER VALUTARE LA SITUAZIONE

Quali elementi possiamo ricavare da queste vorticose settimane ? Alcuni spunti, senza pretesa di completezza:

–          l’esasperazione di tanti italiani  per l’accumularsi di tanti problemi irrisolti (salute, lavoro, sicurezza, tasse, difficoltà degli enti locali a gestire i servizi) non si è incontrata con un progetto riformistico, ma è stata accentuata dalla percezione di una corruzione diffusa a tanti livelli dell’amministrazione e della politica. E questo però si connette non solo alla presenza invasiva della malavita organizzata , ma anche ad un diffuso atteggiamento egoistico di tanti cittadini, che trascurano le regole della convivenza civile e del patto di solidarietà alla base di ogni società democratica (si pensi alla questione dell’evasione fiscale, ma anche all’enorme disparità di retribuzioni, trattamenti e garanzie nel mondo lavorativo).

–          l’orientamento di destra di una larga parte dell’elettorato (anche cattolico) che ha resistito alle gravi difficoltà e scandali di PDL e Lega, confermando l’empasse del quadro politico, ma anche la difficoltà a comunicare sui problemi e sui progetti, rispetto ai facili slogan.

–          È andato in crisi il progetto del PD di costruire un partito “plurale”, ricco di culture politiche diverse (socialista, liberal-democratica, cattolica) accomunate da una politica riformista.

–          Di conseguenza è andato in crisi anche un modello di partito, basato sulla democrazia interna, a vantaggio di altri modelli centrati sul ruolo di un solo leader: il partito-impresa di Berlusconi, il movimento a guida carismatica di Grillo.

–          La Lega Nord, con circa il 4% dei consensi e forti tensioni interne, governa 3 delle regioni più ricche del paese: Piemonte, Lombardia e Veneto. Ed immagina ipotesi separatiste o secessioniste, pur mitigate dalla voglia di rientrare nei giochi romani come attesta la sua indicazione per la rielezione di Napoletano.

–          Le modalità della cosiddetta “democrazia diretta” espressi dal M5S coinvolgono solo una minima parte dei cittadini ed evidentemente  non possono sostituire il tipo di decisioni necessarie per legiferare e governare un paese complesso e integrato nel sistema internazionale.

–          Tutto ciò ci pone di fronte a questioni di enorme portata per il futuro: la crisi della democrazia rappresentativa, la crisi del modello di partito tradizionale coinvolgono le istituzioni fondamentali dello stato ma si riflettono anche sulle possibilità di governare il sistema economico e sociale

E I CATTOLICI ?

Abbastanza distribuito tra le varie aree politiche (con una prevalenza per il centro-destra), il voto dei cattolici sembra sempre meno riferito a progetti politici in qualche misura legati o motivati dal magistero sociale della Chiesa. Al punto che diversi studiosi segnalano una “irrilevanza del voto cattolico”: esso appare sempre meno condizionato dai pronunciamenti della gerarchia, ma anche poco connesso ad idealità o ispirazioni di carattere religioso. Irrilevanza ben espressa dal fatto che – per la prima volta dal dopoguerra – nessun politico proveniente dalle organizzazioni del cattolicesimo democratico o liberale è ai vertici della repubblica. Ciò nonostante il fatto che siano oltre un centinaio i parlamentari eletti provenienti da percorsi nel mondo cattolico. Questo pone un serio problema: infatti, se è un valore prezioso la distinzione tra fede e politica (evitando l’integralismo), per un credente è importante collegare i valori della propria fede con il modo di essere presente e partecipe della società e della vita politica (evitando così disinteresse e forme di spiritualismo che rischiano l’indifferenza rispetto ai problemi della vita sociale e civile del Paese).

Ma ovviamente tutto ciò è molto difficile farlo da soli. E qui si apre un secondo problema che interpella i cattolici e la comunità cristiana: l’aver abbandonato l’associazionismo religioso, educativo e sociale ha creato un vero e proprio vuoto culturale ed educativo, di motivazione, di abitudine alla partecipazione e all’assunzione di responsabilità, di comprensione dei problemi, di “senso della comunità” e di “senso dello stato”, di quel “tirocinio” democratico e civile, la cui carenza oggi pesa anche su quanti generosamente provano ad affacciarsi nel mondo politico.

CHE FARE ?

La conclusione non può essere disperante, ma è di certo piuttosto esigente: proprio perché siamo di fronte ad una crisi dalla portata così forte, è necessario una nuova assunzione di responsabilità da parte dei cittadini perché si passi da una fase di protesta ad una nuova esperienza politica in cui i cittadini accompagnino coloro che si assumono impegni diretti nel campo politico. Il berlusconismo ha dilagato, perché sono stati troppo pochi quelli che in questi anni si sono interessati di politica, limitandosi spesso al giudizio qualunquista “sono tutti uguali”, “è una cosa sporca”, “mi occupo dei problemi miei”. Ovviamente per far questo occorrono luoghi e strumenti, esperienze formative. E’ giusto ricordare come nei precedenti momenti difficili della vita italiana (dai tempi della resistenza a quelli della conflittualità politica, dalle fasi più acute del terrorismo alle offensiva della mafia), le forze sociali e culturali organizzate (tra cui quelle cattoliche) hanno svolto una funzione determinante. Oggi la crisi di queste organizzazioni rende più difficile una risposta.

In questa fase, di evidente disorientamento, occorre riprendere fiducia nei principi che sono alla base della nostra Costituzione e sono chiaramente espressi nei suoi articoli. Sono questi i punti di riferimento per la partecipazione politica dei cittadini, sono di piena attualità e capaci di orientare tanto la legislazione quanto i comportamenti individuali, secondo quella idea di “democrazia progressiva” che proprio i costituenti cattolici richiamarono più volte. Ma per fare ciò occorre riscoprire che il senso cristiano di comunità, accanto a quello di persona, hanno qualcosa da dire anche alla società civile ed anche a coloro che diversamente credono o dicono di non credere.

In particolare, per la comunità cristiana (e non solo), c’è bisogno di:

ribadire la “scelta religiosa” e la distinzione tra fede e politica, ma nel contempo dare valore alla dimensione socio-politica nella stessa vita spirituale, nella predicazione e nella catechesi, sviluppando quanto il Concilio Vaticano II ha indicato;

– recuperare il senso e il valore della progettazione sociale e politica, indispensabile in una società complessa. Il facile ottimismo che – anche in campo cattolico – ha caratterizzato l’epoca della “caduta delle ideologie” ha lasciato ora spazio ad un disorientamento e a una sfiducia che tende superficialmente ad azzerare tutte le differenze.

Priorità educativa: impegno tipico della Chiesa è contribuire alla crescita umana e anche civile delle persone (oggi i temi socio-politici sono quasi assenti dalla riflessione ecclesiale). Servono nuovi canali di informazione e occorre ripensare al problema educativo delle nuove generazioni.  Ciò richiede però il recupero del senso della “comunità” e quindi fare i conti con una mentalità individualista, con la caduta del senso di solidarietà. Occorre un’educazione al senso della comunità e del valore (ecclesiale e civile) della corresponsabilità.

Moralità della politica: c’è bisogno di un rinnovato annuncio evangelico rispetto alla politica, per sostenere l’idea di una politica come servizio, servizio al bene comune, servizio disinteressato e di buon esempio per le nuove generazioni. Ciò è possibile da parte della comunità cristiana, uscendo dal semplice livello polemico, ma anche rinunciando a forme di privilegio e di compromissione, proprio per poter esercitare quella funzione profetica che pone i poveri, la dignità della persona e la cura dell’ambiente al centro dell’attenzione

Ruolo dell’associazionismo: quanto sopra accennato è possibile solo se le persone fanno in concreto  esperienza di questi elementi comunitari e solidali. La crisi attuale del cattolicesimo democratico è l’effetto della crisi dell’associazionismo e della scelte pastorali che l’hanno favorita. Perciò sul piano pastorale è indispensabile un rilancio dell’associazionismo laicale, decisivo sia sul versante ecclesiale che su quello politico.