Il Papa nell’incontro a Roma per i 150 anni dell’Azione Cattolica ci ha invitato a fare politica con la P maiuscola. Non so bene cosa voglia dire soprattutto guardando la politica da un angolo di mondo dove non ci sono i numeri per condurre rivoluzioni, tracciare la strada dei popoli. E così ci avvolge la tentazione di pensare “non mi riguarda, io che posso fare?”. L’agire politico rischia di limitarsi a votare il sindaco, il consigliere che promette ciò che ci serve… ma sempre con un atteggiamento passivo: “tanto sono

Il Papa nel discorso all’AC per la festa dei 150 anni

tutti uguali e faranno solo i loro interessi”. Chiuso il discorso con la politica!

Forse la P maiuscola è quella della strada, quella che ci vede protagonisti tutti i giorni. Le scelte politiche che facciamo quotidianamente sono poi quelle che i nostri rappresentanti fanno a loro volta per avere il nostro consenso. Provo a fare tre esempi tra i mille che mi vengono in mente.

1) In banca chiediamo all’impiegato che i soldi rendano il più possibile, crediamo al mondo delle favole dove la gallina dalle uova d’oro concede soldi su soldi, senza fatica, senza rischio. Se l’impiegato ci risponde onestamente dicendo “più di questo non si può” scegliamo (votiamo) la banca accanto che invece ci fa sognare, ci promette rendimenti almeno più alti del vicino. Abbiamo fatto una scelta politica, non importa se ci vendono un’illusione o se per avere quei guadagni finanziamo i fabbricanti di armi, speculatori immobiliari o aziende che sfruttano e disumanizzano il mondo. O se dopo alcuni anni la banca rischia il fallimento. Allo stesso modo fa la politica dei palazzi: cerca la gallina dalle uova d’oro, specula sulle guerre, sul mondo del lavoro, sul futuro dei giovani, sull’emarginazione dei poveri, salvo poi rischiare il fallimento.

2) Cerchiamo l’uomo che conta e gli chiediamo un favore, qualcosa di personale per superare la fila, per avere una prestazione ospedaliera prima degli altri, per avere un incarico o un lavoro in cambio di qualche innocente ed ovvio “sovrapprezzo” per l’impegno messo. Pensare che questo sia l’unico modo di ottenere le cose è azione politica. Ho sentito mille volte con le mie orecchie, amici, nonni, genitori che educano i figli alla disillusione, a non credere all’onestà, che un posto di lavoro si ottiene solo affinando le armi della sopraffazione e dell’inganno, della furbizia e dell’omertà di fronte alle ingiustizie. Se insegniamo questo ai nostri figli (nel segreto delle nostre case, in piazza ci riempiamo la bocca di altre parole) come possiamo sperare che i nostri rappresentanti facciano diversamente?

3) Ci propongono di accogliere qualcuno che ha meno di noi, che fa migliaia di chilometri pagando sfruttatori, subendo soprusi, che chiede solidarietà umana perché nel suo paese è costretto a far vivere la sua famiglia con 30 € al mese, mentre su internet vede il nostro paradiso di benessere. Il primo pensiero è “l’accoglienza è pericolosa”, prima di vedere l’uomo/la donna, il padre di famiglia emigrato nasce la paura, pensiamo di aver di fronte l’approfittatore, il delinquente, il ladro del nostro benessere, salvo poi usarlo come badante magari “in nero” o come lavoratore sottopagato. Come possiamo pretendere che chi è molto più ricco e potente di noi ci guardi con uno sguardo diverso? Quando andremo noi (o i giovani che qui non trovano lavoro) a chiedere aiuto come potremo sperare di essere guardati diversamente? Ci stiamo abituando a trasformare i più deboli in pericolosi “scarti umani” (e al giro toccherà a noi…basta vedere gli stipendi dei nostri figli), se facciamo scelte politiche quotidiane di esclusione avremo politici e uomini di potere che si comporteranno nello steso modo con noi piccoli uomini di periferia, che per loro siamo degli scarti che danno fastidio come le zanzare d’estate

Non è moralismo ma è la consapevolezza che il nostro agire quotidiano condiziona la politica. Io non mi rassegno, sono convinto che siamo in un mondo di persone che desiderano una vita bella, ma questa passa per l’impegno, la fatica di costruire qualcosa tutti i giorni, la condivisione. Questo credo possa essere da subito la politica con la P maiuscola che possiamo fare…. poi se ci organizziamo e ci uniamo, facciamo crescere i numeri e la pressione di chi agisce così, ho la certezza che ai piani alti dovranno prenderne atto. Ma se da noi per primi hanno esempi negativi, avranno la scusa per perpetuare i nostri stessi comportamenti. Certo il discorso non finisce qui ed è sicuramente più complesso, ma questo è un primo e fondamentale tassello.

La mia professoressa alle superiori, pur non condividendo a pieno il mio impegno nella Chiesa, predicava che il santo principio evangelico del “ama il prossimo tuo come te stesso” è criterio unico e sufficiente per una convivenza sociale umana, positiva e dal benessere diffuso. E’ azione politica con la P maiuscola. Santa professoressa, laica e diffidente verso la religione, ma che sapeva riconoscere la sapienza “divina” che in essa è rivelata!!

Flavio Gotta – presidente Diocesano di AC