In Avvento e in Quaresima, insieme all’Azione cattolica interparrocchiale e alla Parrocchia della Cattedrale di Acqui, il Movimento ecclesiale di impegno culturale (MEIC), ha organizzato (nella Cripta del Duomo) un’ampia lettura guidata di testi tratti dal Concilio vaticano II.

L’iniziativa voleva essere una risposta all’invito del Papa Benedetto XVI a porre l’insegnamento del Concilio vaticano II al centro dell’anno della fede (l’ultima grande scelta pastorale di questo papa): anno della fede che si sta per concludere .

Abbiamo chiesto al coordinatore diocesano del MEIC , Domenico Borgatta  di introdurre, per i nostri lettori, il tema della Chiesa dei poveri, argomento di cui si è occupato il Concilio vaticano II e tornato alla ribalta dell’attenzione ecclesiale grazie ai frequenti interventi di Papa Francesco.

L’occasione di riflettere su questo tema si presenta inoltre con l’iniziativa proposta dall’Azione cattolica diocesana che si terrà a Nizza Monferrato  sabato 16 e domenica 17 con l’intervento di Marcelo Barros, monaco brasiliano, stretto collaboratore di uno dei più famosi vescovi della Chiesa dei poveri, l’arcivescovo di Recife, Helder Camara. Pubblichiamo qui di seguito il suo intervento.

 

 

“Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Questa esclamazione del Papa Francesco, pronunciata poche ore dopo la sua elezione, ha commosso molti (anche non credenti).

Non è inutile ricordare che queste parole del Papa non derivano soltanto dalla sua sensibilità umana e cristiana: esse sono radicate in uno dei documenti più importanti del Concilio Vaticano II, quello in cui si parla della Chiesa e che abbiamo letto in cattedrale lo scorso dicembre.

Perciò, articoliamo la nostra riflessione proprio a partire dal Concilio per poi provare a indagare alcuni avvenimenti e riflessioni relativi  a questo argomento, intervenuti nei cinquanta anni che ci separano dal Concilio per poi, al termine, provare a trarre qualche conclusione che ci possa essere utile oggi qui da noi.

1. Il Testo conciliare a cui facciamo riferimento è il paragrafo 8 del documento conciliare “ Costituzione dogmatica sulla Chiesa” (in latino, indicato come Lumen gentium): si tratta del paragrafo conclusivo del primo capitolo: quello più importante, perché in esso il concilio affronta il tema del “Mistero della Chiesa”: sarebbe come dire il posto in cui si indaga sulla natura profonda (visibile perché fatta da uomini che vivono nella storia) e spirituale (perché voluta da Dio, attraverso la morte e resurrezione di Gesù e la presenza dello Spirito santo, per la salvezza di tutti gli uomini).

Si tratta di un testo del Concilio tra i meno commentati e i meno citati nei discorsi degli uomini di Chiesa in questi cinquant’anni che ci separano dall’assise conciliare e che ora, giustamente, il Papa pone al centro del suo programma  di vescovo di Roma che presiede a tutte le Chiese nella Carità.
Ecco il testo ( un po’ lungo ma espresso con parole e con argomenti di piena attualità per cui vale la  pena, una volta tanto, di citarlo – e di  leggerlo – nella sua integrità):

“Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo « che era di condizione divina… spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo » (lettera di Paolo ai cristiani di Filippi capitolo 2 versetti da 6 a 7) e per noi « da ricco che era si fece povero » (Seconda lettera di Paolo ai cristiani di Corinto  capitolo 8, versetto 9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre « ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito » (Vangelo di Luca capitolo 4 versetto18), « a cercare e salvare ciò che era perduto» (Vangelo di Luca 19,10), così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo. Ma mentre Cristo, « santo, innocente, immacolato non conobbe il peccato “ (Seconda lettera di Paolo ai cristiani di Corinto capitolo  5 versetto 21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (Lettera agli  Ebrei capitolo  2 versetto 17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa « prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio », annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (Prima lettera di Paolo ai  cristiani di Corinto capitolo 11 versetto 26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce”. Il testo è chiarissimo, per cui, mi permetto solo qualche considerazione.

1.      La povertà è uno dei modi attraverso i quali la Chiesa che non si vede (la chiesa mistero, quella che nel paragrafo precedente il 7, il Concilio chiama “ corpo mistico di Cristo”) si rende visibile agli uomini di oggi.

2.      Questo passo del Concilio, prima di parlare della Chiesa, parla del suo fondatore  Gesù, ed è per essere conforme a Lui che la Chiesa deve essere povera:  “Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza”; come si vede, quella della povertà per la Chiesa non è una tra le tante scelte possibili, che magari in alcuni momenti della storia o in alcuni ambienti diventano più opportune: si tratta di qualcosa di essenziale se vuole  “comunicare agli uomini la salvezza” (sarebbe come dire : se vuole svolgere la sua  missione). Per la Chiesa non c’è altra strada che quella percorsa da Gesù e cioè la via  della croce.

3.      Il passo che abbiamo letto non parla della povertà dei cristiani (anche se, in certo modo, la suppone): esso parla della povertà “della Chiesa” nel suo insieme; in sostanza il Concilio non si limita a dire: dobbiamo imitare Gesù povero,  ma dice ben di più: la Chiesa (nel suo complesso: dal Papa, ai cardinali, ai Vescovi, ai preti, ai laici) deve essere povera nei mezzi  che sceglie e nel modo in cui li usa, nelle strutture di autogoverno che si dà, nelle scelte pastorali, nel suo modo di proporre la verità che annuncia, nell’atteggiamento che assume nei confronti di chi appartiene ad altre confessioni o gruppi religiosi, di chi è ancora fuori di essa o di chi l’ha abbandonata. Come si vede c’è del lavoro da fare e pochi di noi possono sperare di morire dopo che questo lavoro è stato terminato.

4.      La parola “povertà” non è la sola parola utilizzata dalla Costituzione conciliare sulla Chiesa (ed anche il Papa, ormai parecchie volte, nei suoi discorsi “a braccio” fa riferimento a tante altre realtà, condizioni di vita che ritroviamo puntualmente in questo documento conciliare); cito, un po’ alla rinfusa dal testo riportato sopra: “poveri e sofferenti, persecuzione, umiltà e abnegazione, poveri e perduti, afflizioni e difficoltà, servizio, debolezza”. Da ciò possiamo trarre la conclusione che qui si parla di un tipo di povertà che supera la categoria per così dire sociologica di povertà.

5.       Voglio, in conclusione, richiamare ancora un “passaggio” del testo che ho proposto alla lettura: Questo: “ la Chiesa …… non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione”.  A questo passo del Concilio, sembra  far  riferimento papa Francesco ogni volta (e l’ha fatto diverse volte in questi mesi)  in cui invita tutti a guardare non alla sua persona ma a Cristo. Se questo vale per il Papa, ancor più vale per la Chiesa: essa non può dare l’impressione (coi suoi riti, col suo potere,  col suo comportamento) di ricercare la gloria terrena. Il concilio invita tutta la nostra comunità all’”abnegazione”.  Si tratta di un termine molto forte che richiama uno dei requisiti essenziali  per chiunque voglia seguire Gesù, almeno secondo l’evangelista Marco che, al versetto 34 del capitolo 8 del suo Vangelo,  scrive: “ Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

2. Nei cinquant’anni che ci separano dal Concilio sono intervenuti fatti nuovi che a metà degli anni 60 del secolo scorso non era possibile prevedere.

Ne indico alcuni: il crollo dei regimi che dichiaravano di reggersi su visioni filosofico politiche marxiste; la globalizzazione e il pluralismo religioso.

Su ognuno di essi intendo esporre qualche considerazione.

1.Incominciamo dal cosiddetto “crollo del Comunismo”: in genere con questa espressione ci si riferisce sia al tramonto dell’ideologia marxista e in particolare della cosiddetta “lotta di classe” sia al caduta dei sistemi politici che ad essa dichiaravano di ispirarsi.  Ma se la lotta di classe ha mostrato tutte le sue difficoltà (a livello teorico e pratico) i poveri non sono scomparsi anzi la forbice tra numero dei poveri sempre più poveri e dei ricchi sempre più ricchi ha continuato ad allargarsi. In sostanza, i poveri ci sono ancora, le guerre per il potere si spostano qua e là sul pianeta: basta guardarsi in giro e si vedono i vincenti e i perdenti. I primi hanno sempre più denaro, i secondi sempre più miseria. Anzi oggi si è diffuso (e da quel che capisco si sta diffondendo sempre più) un  sottoproletariato che (a differenza del proletariato di cinquanta anni fa) non ha né la forza né la capacità né la volontà di lottare per superare la condizione di disperazione in cui vive. Anzi i sottoproletari non sanno quello che fanno, non sanno parlare, non sanno scrivere, non si sanno spiegare: urlano, chiedono, vogliono. Sono i miserabili e non li vuole nessuno. Uomini o donne, bianchi, neri, mulatti. Vengono usati, sfruttati, buttati via (pensiamo a molti immigrati ma anche  a molti connazionali): sono poveri così poveri che non li vuole più nessuno, nemmeno gli eventuali marxisti ancora rimasti in circolazione. E così essi tendono a scomparire nelle periferie del mondo e delle città, a diventare invisibili